Il nome “Befana” deriva dalla parola Epifania che vuole dire manifestazione. Il termine deriva dal greco “epiphaneia” che significa letteralmente “manifestazione” “venuta” “presenza divina”, e si riferisce specificatamente alla prima manifestazione pubblica della divinità con la visita dei Re Magi al Bambinello Gesu. Ma nell’immaginario collettivo rappresenta un mitico personaggio con l’aspetto da vecchia che porta doni ai bambini buoni nella notte tra il 5 e il 6 gennaio.
L’origine di questa festività è sicuramente legata ad antichi riti pagani di propiziazione, rimpiazzati con nuovi significati dalla religione cristiana. Nei tempi più remoti , nel periodo in cui si celebra l’epifania esistevano delle ritualità legate ai cicli stagionali dell’agricoltura, probabilmente legati originariamente dall’antico culto del Mitraismo o altri simili. I Romani avevano ereditato tali riti e li avevano fusi con il calendario romano, celebrando il periodo temporale tra la fine dell’anno solare, rappresentato fondamentalmente dal solstizio invernale e la ricorrenza del Sol Invictus.
La dodicesima notte (considerata cruciale per i contadini che avevano appena seminato, si riunivano le speranze di un buon raccolto per l’anno appena iniziato) dopo il solstizio invernale si celebrava anche la morte e la rinascita della natura attraverso Madre Natura. I Romani credevano che in queste dodici notti (il cui numero avrebbe rappresentato i dodici mesi dell’innovativo calendario romano) delle figure femminili volassero sui campi coltivati, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, da cui il mito della figura che vola. Secondo alcuni, tale figura femminile fu dapprima identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, mentre secondo altri fu associata a una divinità minore chiamata Sàtia (dea della sazietà), oppure Abùndia (dea dell’abbondanza).
In questa notte si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura che stanca per aver donato tutte le sue energie durante l’anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevola strega. Essa volava per i cieli con una scopa, pronta ad essere bruciata come un ramo, per far sì che potesse rinascere dalle ceneri come giovinetta Natura, una luna nuova. Prima di perire però, la vecchina passava a distribuire doni e dolci a tutti, in modo da piantare i semi che sarebbero nati durante l’anno successivo.
Panefin
In molte regioni italiane infatti, in questo periodo, si eseguono diversi riti purificatori simili a quelli del Carnevale, in cui si scaccia il maligno dai campi grazie a pentoloni che fanno gran chiasso o si accendono imponenti fuochi (come i Pan e Vin nella campagna treviggiana) o addirittura in alcune regioni si costruiscono dei fantocci di paglia a forma di vecchia, che vengono bruciati durante la notte tra il 5 ed il 6 gennaio.
Un’altra ipotesi collegherebbe la Befana con una antica festa romana, che si svolgeva sempre in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva anche il termine “strenna”) e durante la quale ci si scambiavano regali.
La Befana si richiamerebbe anche ad alcune figure importate della stessa mitologia germanica, come ad esempio Holda e Berchta, sempre come una personificazione al femminile della stessa natura invernale. Successivamente, con l’avvento del cristianesimo, conciarono ad essere condannati tutti riti e le credenze pagane, definendole un frutto di influenze sataniche. Queste sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni, che sfociarono, a partire dal Basso Medioevo, nell’attuale figura, il cui aspetto, benché benevolo, fu chiaramente associato ad una strega.
STREGHE
Ma chi sono le streghe e cos’è la stregoneria ? In realtà questi termini non hanno un chiaro significato.
Le origini più antiche della stregoneria si fanno risalire al codice di Hammurabi, nel secondo millennio avanti Cristo. In questo codice sono riportate delle disposizioni contro quegli stregoni e maghi che hanno arrecato danni ad altri.
Troviamo esempi di stregoneria in Omero, negli episodi sulla Maga Circe che trasformava i marinai in porci, e in Medea che lanciava il malocchio con intrugli che produceva mescolando diversi ingredienti.
Per quanto riguarda la Bibbia si trovano varie citazioni che vengono riferite alla stregoneria in modo negativo, ma il problema in questo caso è che le traduzioni variano e varia anche il significato, le versioni che ci sono arrivate infatti sono state epurate e riviste. Per esempio uno dei passaggi più famosi della bibbia usati dal clero nel medioevo per condannare la stregoneria si riferisce alla frase nell’esodo passo 22,17 tradotto con “non lascerai vivere chi pratica la magia” ignorando completamente il fatto che l’espressione originale ebraica significasse in realtà “….qualcuno che opera nell’oscurità e blatera” . Quindi i significati sono stati variati a seconda delle esigenze temporali.
Il termine stregoneria sembra provenire dalla parola latina strix, che significa propriamente strige, un uccello notturno presente in antiche favole, che succhiava il sangue dei bambini nella culla e instillava loro il proprio latte avvelenato. È citato da vari autori latini, come Ovidio, Plauto e Plinio il Vecchio.
Troviamo il termine anche nel greco antico strix, di origine indoeuropea, che significa uccello notturno, strige. È però una parola onomatopeica, che proviene dal verbo latino strideo, cioè stridere, emettere suoni acuti e sibilanti.
Solo attorno al primo millennio si hanno effettive testimonianze sull’attività di “congrega” di più persone (in prevalenza donne), alcune delle quali costituirono i due gruppi magici europei dai quali trascendono tutte le attuali forme di aggregazione stregona presenti nel nostro continente: la Società di Diana e la Signora del Gioco.
Il cristianesimo comincia ad occuparsi attivamente di stregoneria quando la presenza di questo culto viene percepita come un ostacolo e un freno per l’espansione del potere temporale. Si ritiene che il concilio di Ancira del 314 abbia promulgato il Canon Episcopi (anche se forse si tratta di un documento successivo dell’867). Il testo è in alcuni punti contraddittorio, infatti si riteneva una follia credere che le streghe potessero volare. Era comunque un testo affidato ai vescovi, per istruirli sui comportamenti da adottare nei confronti di questa credenza e mostra la posizione della Chiesa cattolica nei confronti della stregoneria. Nel testo si menzionava Diana, come dea pagana. E si mettevano in guardia i vescovi sulle donne convinte di obbedire ai suoi ordini o perfino cavalcare la notte su non specificate bestie e di attraversare immense distanze. Donne che, comunque, vanno condannate, anche se siamo ancora lontani dai roghi dell’Inquisizione. Il Canon Episcopi quindi non è da considerare un testo di riferimento per combattere la stregoneria: “…i vescovi e i loro ministri vedano di applicarsi con tutte le loro energie per sradicare interamente dalle proprie parrocchie la pratica perniciosa della divinazione e della magia, che furono inventate dal diavolo; e se trovano uomini o donne che indulgono a tal genere di crimini, devono bandirli dalle loro parrocchie, perché gente ignobile e malfamata.”
La lotta alla stregoneria da parte del clero però ha inizio con la prima bolla promulgata da Papa Gregorio IXil 13 giugno 1233, Vox in Rama, che esortava i vescovi tedeschi ad aiutare l’inquisitore papale Conrad di Marburg, che vedeva nella tortura e nel terrore il mezzo per ottenere la confessione di quanti adoravano Lucifero e il suo diabolico gatto nero.
L’inizio dei processi alle streghe in europa si ha avuto nel XIII, con l’istituzione della tortura voluta da Papa Innocenzo IV attraverso la bolla chiamata Ad extirpanda emanata il 15 maggio 1252, poco prima della sua morte.
Il primo processo per stregoneria della storia, o meglio il primo documento storico su una pubblica esecuzione di una strega, si ebbe in Francia, a Tolosa, nel 1275, quando fu arsa viva Angela de la Barthe, accusata di aver avuto rapporti sessuali col Diavolo. La donna confessò di aver partorito una creatura dalla testa di lupo e la coda di serpente, che nutrì con neonati rapiti.
L’ufficializzazione della lotta definitiva alla stregoneria si ha avuto con il Malleus Maleficarum.
Il Malleus Maleficarum (Hexenhammer), in latino maglio delle streghe, con cui se ne simboleggiava l’abbattimento, è un famoso testo medievale sulla stregoneria, scritto nel 1486 dai domenicani e inquisitori della Chiesa Cattolica Heinrich Kramer e Jacob Sprenger e pubblicato in Germania nel 1487. Il suo scopo principale era di istruire i giudici su come identificare, interrogare e imprigionare le streghe. Fu presentato alla Facoltà di Teologia dell’Università di Colonia il 9 maggio 1487, che ha portato al sanguinoso epilogo dell’inquisizione e della caccia alle streghe del tardo medioevo. Non è certo il numero di presunte streghe uccise dall’inquisizione. La persecuzione fu definita da alcuni un vero “olocausto di donne”. C’è chi parla di centinaia di migliaia di vittime, chi arriva a nove milioni. È impossibile stabilirne il numero preciso, poiché fu un’operazione che dilagò per tutta Europa e si spinse fino al Nuovo Mondo.
Quello che sopravvive ai giorni nostri di queste antiche credenze è conosciuta come Stregheria o stregoneria italiana. La stregheria è conosciuta anche come Vecchia religione per la sua origine precristiana, si fonda su tradizioni pre-etrusche e si ispira a due movimenti cursum Dianæ (il Corteo di Diana) e “Dominæ Ludum” (la Signora del Gioco) e si rifà agli insegnamenti di Aradia, la Santa Strega.
La stregheria è una religione lunare ed è la “fonte di tutte le cose”;è la personificazione della Dea Diana e del Dio Splendor. Quello che sappiamo di questa tradizione è principalmente quanto fu scritto dall’occultista Charles Leland. Dal 1886 Charles Leland fu per lungo tempo a contatto con una donna italiana chiamata Maddalena, una presunta strega, che gli fornì il libro dal titolo: “Aradia, il Vangelo delle streghe italiane” e la sua giusta interpretazione. Anche se in esso emerge in molti punti l’immagine cristiana distorta della stregoneria rurale di quel periodo ( influenza che ha modificato sostanzialmente il messaggio originale), troviamo parecchi argomenti degni di interesse. Nel libro del Leland, le streghe italiane adorano la Dea Diana e il Dio Lucifero (o Splendor) e vengono a contatto tra di loro in consessi notturni chiamati “tregende” o “sabba” per i rituali di Luna piena e celebrano i loro Dei con il canto, la danza e l’accoppiamento. Le loro celebrazioni inoltre includono un’eucarestia per la comunione con le divinità mediante banchetti sabbatici a base di torte dolci e buon vino, particolare già messo in evidenza da Francesco Guazzo nel suo “Compendium Maleficarum”. La strega italiana utilizza la natura in tutto e per tutto tramite i suoi relativi insegnamenti, infatti è da lei considerata “la grande maestra”. La famiglia (la congrega) e la Tradizione sono di massima importanza tra le streghe italiane e questa convinzione dona a questa tradizione magica millenaria la propria resistenza e continuità attraverso i secoli
La Stregheria è essenzialmente una religione che utilizza la natura e che si basa sull’adorazione di una dea e di un dio, entrambi uguali. Quindi una religione politeista.
Si devono distinguere i significati dei termini Stregoneria e stregheria perché racchiudono dei concetti differenti. La stregoneria è un attività è legata alla magia, mentre la stregheria è una stregoneria organizzata connessa coi sabba, oltre a essere legata alla figura divina di Diana. La stregoneria non è una religione, la stregheria è invece detta appunto Vecchia Religione. La Stregheria quindi unisce l’uso della magia alla credenza nei santi, negli antenati, negli spiriti, negli dèi e aveva radici antiche e si basava sul culto di antiche divinità, un culto politeista quindi. Nel medioevo dopo essere stata considerata demoniaca e perseguitata, se ne sono perse le tracce nel XVIII secolo. La Vecchia Religione è riapparsa comunque oltre un secolo più tardi, a metà del XIX secolo, riscoprendo la Vecchia Religione Anglosassone, che conteneva elementi del Neodruidismo e della Vecchia Religione Italiana ed è oggi conosciuta anche con il nome di Wicca.
I BENEANDANTI
Secondo la tradizione un Benandante non è altro che una persona nata ancora avvolto dal suo sacco amniotico e l‘espressione “nato con la camicia” deriva proprio da questo..
Le leggende raccontano che in seguito lo stesso sacco amniotico, o perlomeno una sua parte veniva benedetto e veniva cucito in un sacchettino da porre permanentemente al collo del predestinato. Grazie a questa procedura il predestinato acquisiva i suoi poteri, ma c’è una regola da seguire sempre: il sacchetto non doveva mai essere perso altrimenti con esso si perdevano anche i poteri.
Sembra che questi predestinati al raggiungimento dell’età adulta fossero richiamati al loro dovere da parte del capo della congrega per entrati a fare parte dei beneandanti, se accettavano diventavano una specie di stregoni “buoni” che si ritrovavano in convegni notturni volti a procurare fertilità.
Il loro compito era quello di proteggere i villaggi dall’azione di streghe e stregoni ed erano gli unici che potevano estinguere il potere dei malocchi. Le testimonianze ci arrivano da verbali di interrogatori di tribunali di inquisizione e non. Raccontano che in determinate notti, coloro che erano stati scelti come benandanti erano in grado di fuoriuscire dai loro corpi, a volte sotto forma di nebbia altre volte prendendo l’aspetto di piccoli animali e in gruppo si riunivano per impedire i malefici degli stregoni voltati al male.
Piccole battaglie notturne, in cui era come se si fronteggiassero due eserciti contrapposti, da un lato le streghe con le loro canne di sorgo contro i benandanti armati solo di rami di finocchio.
Battaglie combattute a suon di magia, combattimenti non riportati dalla storia ufficiale ma di cui nelle mattine invernali, nei falò notturni i contadini bisbigliavano tra loro mentre la paura dominava i cuori e le menti delle comunità agresti.
Gli scontri avvenivano durante periodi ben precisi: le notti delle quattro tempora, cioè gruppi particolari di giorni in cui un tempo si santificavano Dio e lo scorrere delle stagioni.
Secondo la tradizione popolare in caso di vittoria dei benandanti si sarebbe assistito a mesi di fortuna e prosperità, se invece avessero vinto gli stregoni malvagi allora in quel dato territorio gli abitanti sarebbero stati condannati a passare periodi di fame, morte e sfortuna.
E’ interessante sentire come un Beneandante descriverà il suo stato di trance al cospetto dell’Inquisizione “non si fa altro se non che lo spirito si parte dal corpo e va via… e se per caso mentre noi siamo fuori uno andasse con il lume e rimanesse a guardia del corpo lo spirito non rientrerebbe e se quel corpo apparendo morto, fosse posto sotto terra, lo spirito andrebbe vagando per il mondo fino a quell’ora che quel corpo deve morire”
Non era questo l’unico potere dei benandanti: essi erano anche in grado di vedere i morti, di ascoltare le loro voci. . I benandanti sono anche legati alle Processioni dei Morti, sempre di origine contadina.
I beneandanti non sono solo maschi, T.G. Chanu riportata la testimonianza di una beneandante, la quale durante l’interrogatorio quando gli viene chiesto di confessare, rispose:“Non ho mai dato l’anima al diavolo, né rinnegato la fede in Gesù Cristo: sono beneandante.”, “era destino che lo diventassi, perché chi nasce la notte di Natale, se è maschio sarà lupo mannaro e urlerà alla luna; se è femmina sarà strega o beneandante. […] Le streghe hanno rinnegato la Santa Madre Chiesa; io non l’ho mai fatto. Anzi, combatto ogni sorta di malvagità. E se so quello che so è perché sono stata con loro, tutte in forma di gatte, io per difendere, le altre per offendere. […] Le streghe si riconoscono tra loro e sono riconosciute da noi, perché sotto il naso hanno tutto un segno a forma di croce, che la gente comune non vede. Ci scontriamo, la notte, nel prato di Santa Caterina, di la del fiume, beneandanti e stregoni. Noi abbiamo bastoni di finocchio e sambuco, loro canne di sorgo turco e attizzatoi da forno. […] Quando hanno la meglio i beneandanti, il raccolto è buono e abbondante. Ma, se vincono gli altri la battaglia, allora c’è grande carestia.”
Nonostante i benandanti combattessero il male, la Santa Inquisizione li dichiarò eretici tra il 1570 e il 1670. La missione di questa congrega si fondava su culti pagani, che non potevano trovare un riscontro positivo nella Chiesa. Furono molti i processi giudiziari a cui furono sottoposti i benandanti, che col tempo erano divenuti essi stessi stregoni .Se prima erano visti come difensori della fertilità dei campi, più tardi, verso la fine del XVI secolo, erano riconosciuti come quelli che tolgono malocchio e fatture.
I LUPI MANNARI
Ginzburg, in “Storia Notturna” racconta le avventure di Thiess, un vecchio più che ottantenne che confessa apertamente a dei giudici di essere un lupo mannaro (“wahrwolff”).
Nel 1691, i giudici di Jürgensburg, una città in Livonia svedese (antica lituania), si trovarono ad interrogare un vecchio noto come Thiess di Kaltenbrun, testimone in un caso riguardante una rapina in chiesa. I giudici sapevano che la gente locale lo considerate un lupo mannaro che frequentava il Diavolo, ma inizialmente avevano poco interesse per tali accuse, che sembravano non avere a che fare con il caso in esame. Durante il colloquio Thiess, che era presente solo come teste, ammise liberamente ai giudici che un tempo era stato un lupo mannaro (“wahrwolff”), ma che vi aveva rinunciato dieci anni prima. Thiess raccontò di come dieci anni prima, nel 1681, fosse già apparso in tribunale per accusare Skeistan un contadino di Lemburg, di avergli rotto il naso. Skeistan era ormai morto da tempo ed era stato uno stregone, lui assieme ai suoi diabolici compagni aveva rubato i germogli del grano e li avevano portati nell’inferno, perché le messi non crescessero. Accompagnato dagli altri lupi mannari, Thiess si era recato all’inferno e aveva lottato con Skeistan. Lo stregone in quell’occasione lo aveva colpito sul naso con un manico di scopa avvolto in code di cavallo. Non si era trattato di uno scontro occasionale. Tre volte all’anno, nelle notto di Santa lucia prima di Natale, di Pentecoste e di San Giovanni i licantropi si recavano a piedi, in forma di lupi, in un luogo situato “alla fine del mare”: L’inferno. La essi lottavano col diavolo e con gli stregoni, battendoli con lunghe fruste di ferro e inseguendoli come cani. I lupi mannari secondo Thiess non tolleravano il diavolo. Il suo racconto si discostava molto dall’immagine della licantropia diffusa nella Germania settentrionale e nei paesi baltici. Queste affermazione stupìrono molto i giudici che gli chiesero “Se i licantropi non possono soffrire il diavolo, perché si trasformano in lupi e scendono nell’inferno?” Thiess rispose che in questo modo essi potevano riportare sulla terra ciò che gli stregoni avevano rubato: bestiame, grano e altri frutti della terra. Se non lo avessero fatto ci sarebbe stata carestia (Come era avvenuto l’anno precedente quando la sua compagnia di lupi mannari aveva tardato a scendere nell’inferno e avevano trovato le porte sbarrate e non erano riusciti a riportare indietro il grano e i germogli sottratti dagli stregoni). Quell’anno invece le cose erano andate diversamente e sempre grazie ai lupi mannari il raccolto di orzo e segala nonché una ricca pesca erano assicurati. I giudici notarono in questa affermazione di Thiess una contraddizione perché Thiess aveva in precedenza affermato di aver abbandonato la sua vita da lupo mannaro dieci anni prima. Thiess con molta tranquillità ammise quindi di aver mentito nella sua precedente affermazione.
Alle accuse da parte dei giudici che i lupi mannari erano servitori del diavolo, il vecchio negò recisamente. I lupi mannari non servivano il diavolo che era invece il loro nemico. I lupi mannari erano i cani di dio che inseguivano il diavolo e gli davano la caccia sferzandolo con fruste di ferro, ed operavano per il bene degli uomini. Secondo Thiss non erano soltanto i lupi mannari lituani a combattere con il diavolo per i raccolti: ma cosi facevano anche i lupi mannari tedeschi e quelli russi che però facevano parte di compagnie diverse dalla sua. Thiess raccontò anche la sua storia, di come era prima diventare un lupo mannaro, spiegando che era stato una volta un mendicante, e che un giorno “un mascalzone” aveva bevuto un brindisi per lui, dandogli così lui la capacità di trasformarsi in un lupo. Egli ha raccontato che avrebbe potuto trasmettere la sua capacità a qualcun altro, respirando nella caraffa tre volte e proclamando “diventerai come me.” Se l’altra persona poi avesse preso la brocca, sarebbe diventati un lupo mannaro, ma Thiess disse che non aveva ancora trovato qualcuno pronto ad assumere il ruolo del licantropo.
Nonostante le continue richieste dei giudici e di un parroco, Thiess rifiutò di pentirsi persistendo nelle sue convinzioni, e anzi, in uno scatto d’ira Thiess gridò al prete che era stufo di sentir parlare delle sue cattive opere che invece erano migliori di quelle del parroco, e che lui, non sarebbe stato né il primo né l’ultimo a commetterle. Dalle indagini fu anche riscontrato che, a parte i viaggi notturni, Thiess aveva praticato magia popolare per i membri della comunità locale. Egli agiva come un guaritore e un incantatore ed era noto benedire grano e cavalli, e sapeva anche incantare i lupi ed arrestare emorragie.
Il primo ottobre 1692 fu condannato a dieci colpi di frusta per le superstizioni e le idolatrie commesse.
Le credenze del vecchio lupo mannaro Thiess sono sostanzialmente identiche a quelle emerse nel processo dei due benandanti friulani. La lotta a colpi di bastone (perfino il particolare dei manici di scopa di cui sono armati gli stregoni lituani richiama i rami di sorgo, o saggina, usati dagli stregoni del Friuli) in determinate notti per ottenere la fertilità dei campi, minuziosamente, concretamente specificata – cosicché in Friuli si lotterà per le viti, in Lituania per l’orzo e la segala.
Un’altra storia sui licantropi ci viene raccontata da Paucer. A metà del’500 lo scrittore, dilungandosi sui licantropi e sulle loro straordinarie prodezze, inserì nel suo “Commentarius de praecipuis generibus divinationum” un aneddoto su un giovane di Riga, che, nel corso di un convito, era caduto improvvisamente supino sul pavimento. Uno dei presenti riconobbe immediatamente in lui un lupo mannaro. Il giorno seguente il giovane raccontò di aver combattuto con una strega che si aggirava in forma di farfalla infuocata: i lupi mannari, infatti (commenta il Peucer) si vantano di tener lontane le streghe.
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